LOCAZIONI COMMERCIALI ED EMERGENZA COVID
Non sappiamo ancora quando l’emergenza sarà finita, ma la pandemia, oltre ai lutti ed agli sconvolgimenti, ci ha portato in una dimensione a tratti irreale, che prima d’ora apparteneva solo ai film apocalittici, una condizione inedita alla quale nessuno era preparato.
Le attività commerciali sono state chiuse e solo ora si intravede l’avvio della Fase2, di cui ancora non si conoscono esattamente i dettagli, ma in ogni caso appaiono lontani i tempi in cui si tornerà alla normalità, ammesso che sia la stessa a cui eravamo abituati.
I negozi, i ristoranti, i bar, i parrucchieri sono chiusi e destinati ad una riapertura con capienza e redditività probabilmente dimezzate, tra plexiglas e distanziamento, in un paesaggio malinconico, come in un quadro di Hopper.
Al centro di queste realtà ci sono persone, che devono sostenere costi per l’affitto dei locali e non hanno ricavato alcun reddito a causa della chiusura forzata, nella angosciante prospettiva di una forte contrazione dei ricavi per i mesi futuri.
La domanda che in questi giorni riceviamo con frequenza è se la chiusura forzata possa giustificare la sospensione o la riduzione dei canoni di locazione, nonché, dall’altra parte, quella proprietaria, ci si chiede se sia comunque giustificato pretendere il pagamento dei canoni, considerato che sul locatore continuano a gravare gli ingenti oneri delle proprietà immobiliari.
Per prima cosa, va detto che una risposta certa ed univoca ad oggi non c’è e che la miglior soluzione debba essere ricercata in un accordo tra le parti perché manca una normativa specifica ed è ancora troppo presto per far leva sui precedenti giudiziari, ad oggi inesistenti.
Per ora si tratta quindi di studiare la legge per restringere gli spazi dell’incertezza.
Solo tra qualche mese i Tribunali saranno investiti del contenzioso e le prime sentenze faranno da apripista in un territorio inesplorato.
A testimonianza dell’attualità del problema è notizia di questi giorni (Sole 24Ore del 23 aprile scorso) del caso sottoposto al Tribunale di Venezia che ha riguardato la escussione di una fideiussione posta a garanzia del pagamento dei canoni.
Nel caso in questione il conduttore ha dovuto subire prima la calamità naturale dell’acqua alta a fine 2019 e poi la chiusura del proprio esercizio in seguito alla dichiarazione di Zona Rossa per Covid-19.
Con provvedimento d’urgenza, il Giudice ha per ora accolto la richiesta dell’affittuario ed ha bloccato l’escussione della fideiussione.
Il Giudice, tuttavia, ha concesso l’inibitoria per evitare la rivalsa della banca a mezzo realizzo di titoli in tempi non certo favorevoli ed ha preso atto come la normativa sia in continua evoluzione in seguito all’andamento della pandemia, così scegliendo prudentemente di attendere gli sviluppi e rinviando la causa per il merito.
Proprio nell’ottica di una auspicabile ed immediata revisione degli accordi, anche al fine evitare contenziosi lunghi e costosi, le seguenti riflessioni potranno anche essere un piccolo aiuto nei procedimenti di rinegoziazione individuandone i fondamenti normativi.
In ogni caso, vale sempre il fondamentale principio per cui un accordo soddisfacente, a prezzo di qualche sacrificio per entrambe le parti, è sempre meglio dell’avventurarsi in una bella causa.
PROVVEDIMENTI LEGISLATIVI NELL’EMERGENZA
Il decreto Cura Italia (D.L. n. 18/2020) non ha affrontato direttamente il problema delle locazioni commerciali ed ha previsto per i conduttori di immobili categoria C1 (negozi e botteghe) un credito d’imposta, da portare in compensazione, pari al 60% dell’ammontare del canone di locazione del solo mese di marzo.
L’Agenzia delle Entrate (Circ. 3 aprile 2020, n. 8/E), ha poi chiarito che il credito d’imposta maturerà solo ad avvenuto pagamento, per cui prima si paga, poi si potrà chiedere la compensazione, secondo le vecchie logiche del solve et repete.
Infine occorre segnalare che, tra le misure d’urgenza portate dal DL Cura Italia, vi è la la sospensione di tutti gli sfratti, abitativi e non abitativi, fino al 30 giugno prossimo.
Un po’ poco per arginare la crisi, anche perché l’obbligo di chiusura ha interessato anche numerose altre attività commerciali esercitate in immobili non di categoria C1 e pertanto escluse dal beneficio.
Ci si aspettano ulteriori e magari, più consistenti, aiuti con il prossimo decreto ma, il messaggio che passa sottotraccia da parte del legislatore è quello di non voler prendere decisioni risolutive, bensì di tentennare, attendere, forse confidando nella transitorietà di questo tempo eccezionale.
POSSIBILI SOLUZIONI
A questo punto, il pallino della questione è rimesso solamente alle parti e si possono prospettare due soluzioni: il conduttore potrebbe decidere di chiudere e risolvere il contratto di locazione, oppure continuare il rapporto ritenendo equa una riduzione del canone, considerato l’inutilizzabilità dell’immobile.
Risolvere il contratto sembra possibile visto che non par dubbio che la pandemia, la chiusura, il confinamento, la improvvisa restrizione degli affari possano costituire i “gravi motivi” per comunicare il preavviso di recesso sei mesi prima, come previsto dall’art. 27 della Legge 392/78.
Altra strada che potrebbe essere percorribile per il conduttore che intenda risolvere il contratto, senza dover corrispondere le mensilità per mancato preavviso, è quella delineata dall’art. 1467 c.c. che permette di domandare la risoluzione nel caso di eccessiva onerosità sopravvenuta a causa di avvenimenti straordinari ed imprevedibili. In questo caso, tuttavia, il locatore potrebbe evitare la risoluzione offrendo di modificare equamente le condizioni del contratto.
E’ bene sottolineare che il concetto di eccessiva onerosità sopravvenuta non ha una definizione, ma ne dovrà essere data prova oggettiva dimostrando l’intervenuto squilibrio tra le prestazioni, non previsto al momento della conclusione del contratto (Cass. 22396/2006).
Nel caso si scelga di adire il Giudice per risolvere il contratto ai sensi dell’art. 1467 c.c. la proposizione della domanda non libera il conduttore dall’obbligo di pagamento dei canoni.
Supponiamo, invece, che il conduttore voglia mantenere la disponibilità dell’immobile e superare questa situazione di emergenza, però ritenga quantomeno giustificata e conforme al buon senso una rideterminazione del canone per far fronte ad uno squilibrio contrattuale (pago per un immobile inutilizzabile o, quantomeno, il canone inizialmente concordato presupponeva un certo reddito derivante da un uso “normale” dei locali, senza restrizioni).
LA SOSPENSIONE O LA RIDUZIONE DEL CANONE
La sospensione o l’autoriduzione sono possibili?
Il conduttore non può di sua iniziativa pagare meno di quanto pattuito anche nella ipotesi dell’impossibilità di utilizzo dell’immobile, almeno secondo la giurisprudenza maggioritaria, ma avrà unicamente la possibilità di chiedere la risoluzione del contratto, oppure rivolgersi al Giudice perché, valutato lo squilibrio delle prestazioni reciproche, si veda riconosciuto il diritto alla riduzione del corrispettivo (Cass. 10639/2012).
Si segnala, tuttavia, in senso più favorevole, Cass. 261/2008, che ha escluso la possibilità per il conduttore di non pagare o pagare meno unilateralmente “nel caso si verifichi una riduzione o una diminuzione nel godimento del bene”, in quanto la sospensione totale o parziale del canone può dirsi legittima “qualora venga completamente a mancare la controprestazione da parte del locatore“.
Il codice civile prende in considerazione “l’impossibilità della prestazione” nell’art. 1218 c.c. per escludere il debitore dal risarcimento del danno nel caso riesca a provare che l’inadempimento od il ritardo siano dipesi da una oggettiva ed insuperabile impossibilità.
In cosa consista il risarcimento del danno lo dice l’art. 1223: “il risarcimento del danno per l’inadempimento o per il ritardo deve comprendere così la perdita subita dal creditore come il mancato guadagno, in quanto ne siano conseguenza immediata e diretta“.
Questa carrellata sugli articoli 1218 e 1223 del codice civile è per introdurre l’art. 91 del decreto Cura Italia per cui “il rispetto delle misure di contenimento di cui al presente decreto è sempre valutato ai fini dell’esclusione, ai sensi e per gli effetti degli articoli 1218 e 1223 c.c., della responsabilità del debitore, anche relativamente all’applicazione di eventuali decadenze o penali connesse a ritardati o omessi adempimenti”.
Questa norma, introdotta nell’emergenza e con riguardo ai contratti pubblici, ha carattere generale e non è certo stata scritta per lo specifico settore delle locazioni commerciali, dove, sostanzialmente, l’unica obbligazione del conduttore è quella di pagare il canone.
Quello che dice la legge è che la chiusura è valutata al fine di escludere il debitore da responsabilità per inadempimento, non è dunque un automatismo, ma una valutazione che spetterà al Giudice.
Si potrebbe sostenere che il conduttore non sia responsabile del mancato pagamento dei canoni nei mesi in cui l’attività è stata chiusa e quindi, per quel periodo, non debba pagare alcunché (“la perdita subita dal creditore”, ai sensi dell’art. 1223 c.c.).
E’ difficile sostenere una simile argomentazione se si ragiona in senso stretto.
La principale obbligazione del conduttore è, come detto, quella di pagare una somma di denaro ed, ai sensi dell’art. 2740 c.c., il debitore risponde dell’adempimento delle obbligazioni con tutti i suoi beni presenti e futuri.
In materia di obbligazioni pecuniarie, l’impossibilità della prestazione deve consistere, ai fini dell’esonero da responsabilità del debitore, non in una mera difficoltà, ma in un impedimento obiettivo ed assoluto che non possa essere rimosso (Cass. 25777/2013, 9645/2004)
Era davvero impossibile per il conduttore pagare il canone di locazione o comunque aveva la disponibilità di risorse sufficienti per pagarlo, visto che l’articolo 2740 c.c. prende in considerazione tutte le risorse economiche del locatore, non solo il reddito d’impresa ?
Si tratta di dover dare una prova molto, molto difficile.
Se, invece, si fa un ragionamento in senso più ampio, si potrebbe ritenere che l’impossibilità di svolgere la propria attività non solo ha privato di redditi il conduttore, ma, più radicalmente, ha fatto perdere utilità al godimento dell’immobile, a causa delle misure di confinamento.
Seguendo questo percorso si tratta di spostare il focus dalla “impossibilità della prestazione” alla “inutilizzabilità della prestazione” al fine di giustificare il mancato pagamento dei canoni per il periodo di chiusura forzata.
Si parte con una breve digressione.
Lo scopo pratico che le parti intendevano raggiungere, la causa del contratto, consisteva nella disponibilità di un immobile funzionale allo svolgimento di un’attività economica a fronte del pagamento di un canone mensile.
Ed i motivi del contratto sono rilevanti, dice la Cassazione, sempre che abbiano assunto un valore determinante nell’economia del negozio, assurgendo a presupposti causali, e siano comuni alle parti o, se riferibili ad una sola di esse, siano comunque conoscibili dall’altra (Cass. 12069/2017).
Il concetto di causa in concreto del contratto ha trovato piena conferma nella recente Cass. 8766/2019 (in precedenza si segnala conforme Cass. 20811/2014): “In tema di risoluzione del contratto, l’impossibilità sopravvenuta della prestazione è configurabile qualora siano divenuti impossibili l’adempimento della prestazione da parte del debitore o l’utilizzazione della stessa ad opera della controparte, purché tale impossibilità non sia imputabile al creditore ed il suo interesse a ricevere la prestazione medesima sia venuto meno, dovendosi in tal caso prendere atto che non può più essere conseguita la finalità essenziale in cui consiste la causa concreta del contratto, con la conseguente estinzione dell’obbligazione.”
E’ evidente che l’impossibilità di usufruire della prestazione a causa dell’emergenza ha alterato l’equilibrio contrattuale e privato il contratto di utilità per il conduttore.
Tuttavia il rimedio offerto dalla legge non è solo quello della risoluzione, ai sensi dell’art. 1463 c.c. che mal si attanaglia con l’inutilizzabilità solo temporanea dell’immobile, ma quello previsto dall’art. 1464 cc. per cui, nel caso di impossibilità solo parziale per una parte, consegue il diritto dell’altra parte ad una riduzione della propria prestazione.
Attraverso questo percorso, si potrebbe così sostenere il diritto del conduttore ad una sospensione o quantomeno ad una riduzione del dovuto al locatore per il periodo di chiusura.
Nello stesso senso, un ulteriore argomento arriva dall’art. 1256 c.c.: “l’obbligazione si estingue quando, per una causa non imputabile al debitore la prestazione diventa impossibile. Se l’impossibilità è solo temporanea, il debitore, finché essa perdura, non è responsabile del ritardo nell’adempimento“.
Ecco che il anche secondo comma dell’art. 1256 c.c. potrebbe giustificare il ritardo nel pagamento dei canoni di locazione, esonerando da responsabilità il conduttore.
Non un esonero dal pagamento, ma una sorta di congelamento di canoni, da pagarsi, magari ratealmente, al termine dell’emergenza sanitaria.
Infine, ad ulteriore argomento per analogia, si richiama l’art. 1623 c.c. che, in tema di affitto di cosa produttiva, prevede che “Se in conseguenza di una norma di legge o di un provvedimento dell’autorità riguardante la gestione produttiva, il rapporto contrattuale risulta notevolmente modificato in modo che le parti ne risentano rispettivamente una perdita e un vantaggio, può essere richiesto un aumento o una diminuzione del fitto ovvero, secondo le circostanze lo scioglimento del contratto”
Non pare dubbio che la pandemia sia un “evento straordinario sopravvenuto ed imprevedibile” al quale è seguita la sospensione per legge di una parte consistente delle attività commerciali da parte di un “provvedimento d’autorità”
LA RINEGOZIAZIONE
Un ulteriore spunto per giustificare un dovere di rinegoziazione è quella del ricorso ai principi generali del contratto, in particolare al principio di equità, già richiamato nel citato art. 1467 c.c..
E’ vero che nel nostro ordinamento non è previsto un obbligo di rinegoziazione, ma il richiamo ai principi di correttezza e buona fede è stato ritenuto rilevante sul piano del bilanciamento dei contrapposti interessi delle parti (Cass. 20106/2009) consentendo al Giudice di intervenire anche in senso modificativo sul contenuto del contratto, al per garantire l’equo contemperamento degli interessi reciproci.
Ecco allora che il principio di esecuzione del contratto secondo buona fede potrebbe rappresentare lo strumento per modificare ed integrare il contenuto secondo equità, ai sensi dell’art. 1374 c.c..
Alcune considerazioni di ordine pratico.
Da un lato, il locatore potrebbe essere spinto a proseguire nel rapporto perché magari i pagamenti sono sempre stati regolari, si è creato un rapporto di fiducia consolidato nel tempo e d’altra parte il rischio di trovarsi con i locali sfitti e privi di redditività, specie in questo periodo, sarebbe un rimedio peggiore del male.
Meglio perciò guadagnare meno, ma almeno ricavare una utilità, sia pure ridotta.
Infine, i vantaggi fiscali.
L’accordo per la riduzione del canone, ridefinito per un tempo determinato, dovrà essere trasposto in una scrittura privata registrata (non soggetta a tassazione) e consentirebbe al locatore persona fisica di pagare le imposte sui canoni effettivamente percepiti e non anche su quelli non incassati.